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Ma che caldo fa? Speriamo che almeno ci faccia andare più veloci!
Guida all’HEAT TRAINING.
L’HEAT TRAINING, letteralmente allenamento al calore, è la metodologia di allenamento più in voga attualmente. Le immagini di Abrahamsen che si allena sui rulli indossando un kway dopo un primo attimo di empatico malessere sono esilaranti, ma se un ciclista Pro Tour (e non solo lui) attua questa metodologia forse vale la pena analizzarla.
Innanzitutto, partiamo con l’esporre di cosa si tratta.
L’HEAT TRAINING consiste nell’allenarsi in condizioni di aumentata temperatura corporea. Indicativamente tra i 38,6 gradi e i 39 gradi. Fondamentale è attenersi a questo range di temperatura per essere sicuri di avere benefici effettivi sia per non rischiare di incorrere in brutti infortuni quali colpi di calore o peggio…
Questo può essere perseguito in diverse modalità: allenandosi nelle ore più calde della giornata in estate, allenarsi con indumenti pesanti oppure allenandosi indoor indossando ad esempio gambali e maglia a maniche lunghe.
La giusta frequenza si assesta sulle 2 sessioni alla settimana per un macro ciclo di 3 settimane.
Quali sono i benefici?
Oltre all’ovvia acclimatazione al calore, questo metodo è famoso per aumentare il volume del plasma ematico e i valori di emoglobina.
Avendo un aumento del plasma avremo un maggior volume di sangue gestito dal cuore ad ogni ‘’pompata’’ con conseguente ottimizzazione dell’efficienza cardiaca. Ma non solo! Avendo una maggior massa emoglobinica vi sarà anche un aumentato trasporto dell’ossigeno. (Ronnestad et al 2021 / Maunder et al. 2021).
Un altro effetto è l’aumento dell’efficienza dei mitocondri. Nello specifico l’aumentata temperatura corporea interna porta una maggior efficienza delle proteine enzimatiche mitocondriali aumentando la capacità di queste piccole centrali energetiche di produrre energia in parallelo ad una diminuzione nella produzione di lattato.
Ci sono controindicazioni?
Bisogna però stare attenti perché il vero heat-training deve essere svolto sotto stretto controllo della temperatura interna che deve essere monitorata costantemente durante la sessione di allenamento. VIETATO IMPROVVISARSI! Anche per questo io personalmente tendo a sconsigliarla in ambito amatoriale.
Esiste una scappatoia?
Anche per questo motivo io trovo molto interessante la pubblicazione di Maunder e colleghi del 2024 (naturale evoluzione di quella del 2021) che mette in risalto una probabile efficacia dell’heat-training locale. Ad esempio, nel caso di un ciclista o di un corridore, per avere degli effetti a livello mitocondriale nei muscoli più attigui a queste attività (quadricipite, gluteo e flessori del ginocchio) basterebbe creare i presupposti per un aumento della temperatura locale tramite indumenti in neoprene o gambali nel periodo del tardo periodo primaverile e di quello estivo nelle settimane per gara.
Interessante è che a parità di temperatura di lavoro di questi gruppi muscolare l’aumento dell’efficienza mitocondriale a livello locale non cambia al variare dell’intensità di lavoro attestandosi sempre al 73% (il 50% in più rispetto agli effetti del solo allenamento senza indumenti in neoprene).
Ovviamente gli effetti sul plasma ematico e sull’aumento dell’emoglobina sono ridotti rispetto all’HEAT TRAINING tradizionale, ma in ambito amatoriale il rapporto benefici/rischi è decisamente superiore.
In conclusione, l’HEAT TRAINING è promosso, ma non va sottovalutato. I rischi sono ben presenti. Per questo motivo va sempre svolto sotto supervisione e disposizione di uno specialista.
Bibliografia:
Maunder et al. 2021 https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/33977674/
Ronnestad et al. 2021 https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/32436633/
Maunder et al. 2024 https://www.orthosports.co.nz/wp-content/uploads/2024/06/Maunder-et-al.-2024-Pflugers-Archiv-Locally-applied-heat-stress-during-exercise-training-may-promote-adaptyations-to-mitochondrial-compressed.pdf